giovedì 10 dicembre 2009

Casette a mosaico

Si creano casette e simili su ordinazione


Prezzo: 10,00 Euro
(singola parete - dimensioni: 10 x 10 cm)



mercoledì 19 marzo 2008

Matteo di Capua

C’era una volta nel Regno di Napoli un bambino di nome Matteo, che nel 1440 abitava a Capua, città in provincia di Caserta, nelle vicinanze del fiume Volturno.
Fin da piccino si divertiva a giocare alla guerra. Costruiva da solo spade, scudi e frecce di legno,
e duellava con il compagno Stefano.
Amava andare a cavallo e giocare con il cane dello zio, che si chiamava Volturno, come il fiume, perché era lì che era stato trovato.




La sorella Marta giocava volentieri con la palla, e spesso la lanciava al cane, nella vana speranza che questi gliela riportasse, ma Volturno puntualmente gliela rubava.

Suo padre era contadino. In autunno arava la terra facendo trascinare l’aratro dai buoi.

In estate, quando il grano era maturo, lo trasportava con il carro in città.
Spesso diceva: “Caro Matteo, quando sarai grande mi aiuterai a mietere il grano e verrai con me al mulino per macinarlo. Poi insieme caricheremo i sacchi di farina ottenuta”.
Ma Matteo voleva fare il soldato. Non diceva niente al padre perchè sapeva che si sarebbe dispiaciuto.
Anche la madre si sarebbe dispiaciuta, perchè avrebbe temuto di perderlo. Lei non gli chiedeva neppure di aiutarla a portare l’acqua quando si recava al pozzo a fare provvista, tanto temeva per la sua salute.
Così Matteo divenne un giovane alto e robusto, e gli sarebbe piaciuto diventare una guardia del Re.
Da poco era salito al trono del Regno di Napoli un re di nome Ferdinando, figlio naturale di Alfonso V.
Non aveva nessun nonno che si chiamasse Ferdinando, per cui fu chiamato Ferdinando I.
Un giorno a Capua ecco arrivare a cavallo i soldati del Re.
Erano tutti coperti da una armatura lucidata a specchio. In testa avevano un elmo lucido lucido.
In mano ciascuno di loro aveva una lancia chiamata alabarda. Qualcuno impugnava un’ascia, qualche altro una mazza incatenata a tre palle chiodate, detta mazzafrusta.
Matteo era incantato. Ce n’era uno che suonava la tromba. A quel suono tutti si radunarono e cominciarono a sfilare a tre a tre, come gli scolari in fila.
I cavalli erano bardati a festa, con stoffe multicolori e ricami preziosi, altissimi come Matteo non ne aveva mai visti.
Egli desiderò ardentemente di trovarsi lì, in mezzo a loro, in groppa a quei cavalli purosangue che potevano appartenere solo ad un re, per quanto erano belli e maestosi.
Così Matteo si avvicinò ad un cavaliere che si accingeva a partecipare ad un torneo equestre, e disse:
Mi piacciono i vostri scudi, le vostre asce, le vostre frecce, ma io saprei costruirne di più robusti. Mio nonno è fabbro, e mi ha insegnato bene l'arte del ferro”.
Accetto la sfida”, disse il cavaliere. “Vieni con me, ti presento al Capitano”..
Il Capitano provò subito simpatia per Matteo, e ….. come si suol dire ….. lo prese sotto la sua ala protettiva.
Convinse i genitori a mandarlo a Napoli con lui.
Matteo divenne Fabbro di Corte. Oltre a forgiare nuovi modelli di armature, sapeva costruire zoccoli resistentissimi, che inchiodava direttamente sull’unghia del cavallo, come un bravo maniscalco.
Era felice di servire il Re, ma desiderava diventare un eroe.
Sognava di diventare Generale, e magari Duca.
Un giorno Re Ferdinando passeggiava fuori dalle mura della Reggia. Un masso si staccò dal cornicione e stava per cadere proprio sulla testa del Re.
Matteo si lanciò addosso al malcapitato e lo allontanò dalla traiettoria della grande pietra.
Per riconoscenza Ferdinando I nominò Matteo Duca di Atri, nell’Abruzzo Ulteriore, che faceva parte del Regno di Napoli. In più gli regalò il castello posto alla foce del fiume Pescara, sul mare Adriatico, che era chiamato Castrum ad Mare, cioè Castellammare, con l’aggiunta di Adriatico per distinguerlo da un altro Castellammare, vicino Napoli.
Castellammare Adriatico era parte della più grande Pescara, conosciuta anticamente come Pischarìa perché luogo molto pescoso (pieno di pesci).
Pischaria era stata usata dagli antichi Romani come porto sull’Adriatico, con il nome di Ostia Aterni, cioè porto dell’Aterno. Aterno era ed è l’altro nome del fiume Pescara, che in realtà si chiama Aterno-Pescara.
Correva l’anno 1462.
Non si sa se il Duca Matteo abitò mai in quel castello/fortezza, però lo trasformò per renderlo sempre più bello (chissà se trovò un cane e lo chiamò Pescara?)
Egli fu impegnato nella conquista di nuove terre, e si distinse sul campo tanto da divenire Viceré d’Abruzzo.

(Testo di Adriana Cefaratti - i disegni sono ripoduzioni di originali da internet o da stampe per bambini)

Il topolino dei denti

Ciao Martina” disse il topolino alla bambina che nella sua cameretta colorata, con la testa poggiata sul morbido cuscino, si stava svegliando.
Martina si stropicciò gli occhi, incredula.
Forse sto ancora dormendo”, pensò, e chiese “Ma tu chi sei? E come sai il mio nome?”
Io sono il topolino dei dentini. So che stai per perdere un dente da latte, che ti dondola da diversi giorni”.
E chi te l’ha detto?”
Nessuno. Io sono come la Fata Turchina di Pinocchio: sempre informato
Non ci credo”, disse Martina, “dammi un pizzicotto per farmi svegliare. Sicuramente sono in un sogno.”
Ma il topo non avrebbe mai tirato un pizzicotto ad un bambino, perché gli avrebbe fatto male, e lui non voleva far del male a nessuno, e tanto meno ad un suo pupillo. Così le disse:
Anche i tuoi genitori sanno che io esisto. Chiediglielo.”
Martina si drizzò sul letto mettendosi seduta. Il topo allora da sotto il cuscino andò a mettersi ai piedi del letto. Ora erano uno di fronte all’altra.
Anche tuo padre, quando perdeva un dentino, lo metteva sotto il cuscino, e c’era sempre una ricompensa, sai? Io sono stato il topo dei denti dei tuoi genitori, dei tuoi nonni, dei tuoi bisnonni, dei tuoi trisavoli (così si chiamano i nonni dei nonni) e di tutti gli altri tuoi antenati. Sono stato assegnato alla tua famiglia.”
E che ci fai con tutti questi denti?”
Li conservo, sono il mio tesoro. Possiedo un museo dove tengo tutti i denti e tutte le foto di tutta la tua genealogia (che sarebbe la storia della tua famiglia). Ogni tanto un gruppo di topini viene a fare una escursione, cioè visita il mio museo. Durante queste visite ognuno racconta le proprie storie. Ci divertiamo un sacco”.
Martina, che aveva ascoltato attentamente, era ancora incredula, e sorrideva all’udire quella favola. Ma le piaceva ascoltare ciò che il topino diceva. Era così piccino, bianco bianco, candido come le cavie di laboratorio; aveva un modo di gesticolare, mentre parlava, che rendevano la bimba allegra.
Gli era simpatico, quel topino impertinente che si era permesso di entrare in casa sua.
Se lo vedesse la mamma lo rincorrerebbe sicuramente con la scopa”, pensò, ma il topo continuò a parlare e la distrasse dai suoi pensieri.
Io conosco molti particolari che riguardano la tua famiglia. Ad esempio, lo sapevi che c’era una zia di nome Wanda, da tutti i nipoti chiamata “la dentista” perché non appena un nipotino le dicevaho un dentino che balla”, lei pronta chiedevame lo fai vedere?” e in un baleno, zak, aveva tolto il dente, senza che il bambino soffrisse a lungo”.
Martina, mentre ascoltava, teneva il dentino traballante tra l’indice e il pollice. Stava per chiedere se quel metodo era veramente poco doloroso, ma proprio in quel momento la porta si aprì ed entrò la mamma, che chiese “Con chi stai parlando?"
La bimba allora si buttò di scatto sul letto e chiuse gli occhi, fingendo di dormire. Quando poco dopo la mamma dubbiosa uscì dalla stanza e chiuse la porta, Martina riaprì gli occhi.
Il topolino era scomparso. Si guardò allo specchio e vide una finestrella al posto di un dentino.
Ma guarda, il metodo della zia Wanda funziona davvero!”
Battendo le mani disse: “Ho tolto il dente senza sentire nessun dolore! Avevo tanta paura! Ma, il topino dove si è nascosto?"
Guardò sotto al letto, sotto le coperte, alzò il cuscino, e, sorpresa! C’era un soldino.

(Testo e disegni originali di Adriana Cefaratti)